“Era un cammino che si doveva percorrere, diritti e soli…fino a superare le valli oscure e desolate e pervenire alfine all’aria pura per soffermarsi sul limite d’una pianura alta e senza limiti. L’immaginazione, liberata dalle catene della paura e della legge, diventava allora tutt’uno con la visione. E l’Atto, intrinseco e assoluto, era il suo significato, e il portatore della sua passione.”[1]
C’è qualcosa che accomuna queste parole scritte dal pittore Clifford Still in una Lettera a Gordon M. Smith e l’azione di Andrea Marchesini. Forse quel percorso individuale ed intimo che, negli anni, ha liberato uno stile che ad oggi risulta specifico e personale, seppur in continua evoluzione.
Nel nostro tempo vi è determinata la convivenza di varie e difformi modalità espressive e, diversamente da quel che era avvenuto nel Novecento, non ci sono movimenti omogenei ed unitari ma singole personalità di cui viene esaltato il valore creativo dell’Io. Siamo nell’epoca dell’ “egocalisse”, afferma Vincenzo Trioni[2], e il lavoro di Marchesini ne è una prova concreta.
Marchesini si addentra negli interstizi del presente, in una temporalità complessa, stratificata e sfuggente che non viene affrontata come ostacolo o barriera ma come straordinaria sfida e stimolante occasione. Ne compone i contorni delle apparenze, non si sottrae, mostra radici implicite ed intenzioni inesplorate. Forme apparentemente prive di specificazione parlano con una certa precisione di ciò che il creativo percepisce. Coincidono con ciò che si delinea d’innanzi– e poi si cancella. Dal modo in cui le figure si palesano e svaniscono, si distanziano e si accostano l’una con l’altra, si avverte un’espansiva trama di forze, una continua messa in discussione dell’affermazione dei soggetti. È la configurazione di una sensazione, la crescita naturale del bisogno di esprimere a forme e a colori il prisma dell’immaginazione.
La tela che ci sta di fronte possiede pertanto un valore scopertamente autobiografico, Marchesini ci parla del suo “Io” apertamente. È percepibile un sentimento perturbato che, senza un pregiudizievole approccio, viene celato dall’utilizzo del colore sgargiante. Quadrati verdi, forme rosa, fondi gialli brillanti e tessuti preziosi edificano opere in cui c’è della verità.
Sono interpretazioni, straordinarie ed esuberanti, emergenti sotto la forma di figure umanoidi, aliene, fluide e geometriche che chiedono di essere scrutate nei particolari per scoprirne l’identità.
Le sue configurazioni sono esplosioni di senso mistico che trovano giustificazione non in un qualsiasi dovere dell’artista verso la società, ma in ciò che egli deve a sé stesso, nel suo bisogno di rendere visibile l’intimo nucleo del suo essere.
Il mondo immaginifico Marchesiniano possiede un sotterraneo senso di pura rivelazione inconscia. Toccò al movimento surrealista, nel dopoguerra, codificare questa tipologia di scoperta ed erigerla come proprio principio. Il surrealismo affascinato dalle scoperte di Freud, attraverso la dottrina dell’automazione psichica, vedeva l’arte come mezzo di rivelazione del mondo nascosto dell’inconscio. Marchesini, il cui lavoro differisce per altri aspetti sostanziali dai pittori surrealisti, ne evoca alcuni richiami (Mirò) insieme a lievi influenze di natura espressionista (Francis Bacon, Jackson Pollock, Clifford Still). Le forme cromatiche germinano in immagini che restano ignote, o quanto meno inattese al loro creatore fino al momento della loro apparizione. Si originano presenze enigmatiche e complesse al punto di diventare labirintici grovigli, circonvoluzioni vegetali, organiche e mentali. Secondo l’osservazione in qualche misura geniale del creativo, si può dire che egli sostituisce il microcosmo represso con un macrocosmo irraggiungibile. Espande i limiti della nostra percezione approfondendo la cosmologia di un universo soggettivo e mentale, attraverso un repertorio di immagini in cui Marchesini conserva una propria e caratteristica elusività, come se ora avesse guadagnato il pronto accesso al suo subconscio da non aver più molte ragioni di temere ciò che esso contiene.
Queste opere sono la vigorosa espressione della sua energia intellettuale e della sua percezione sensibile, i segnali indicatori sono seminascosti tra le estrose superfici dipinte. Ad esempio, la perfetta e piatta stesura del fondo è base fondamentale, una temporanea tabula rasa da cui tutto ha inizio. Generata la prima forma sferica vengono abbinati gli effetti del dripping a rapidi vortici di pennello apparentemente improvvisati, si estendono ramificazioni, dense colature, vengono inseriti tessuti, merletti e, in recenti produzioni, frammenti di specchi tondeggianti. Forme e materiali che nella visione d’insieme generano una relazione.
La pura estetica visiva diventa altro agli occhi di chi osserva attentamente. Volumi, dettagli cromatici e stilistici, insieme, compongono e trasmettono diversi stati d’animo, alludono a differenti possibili valori: un contrasto continuo alla ricerca di una convivenza.
Non sono lavori immediati, necessitano di tempo.
Quello di Marchesini è un alfabeto che non possiamo facilmente tradurre ma la ricorrenza di simboli e forme, frutto di una sorta di componente ossessiva, implica la presenza e la costruzione di un significato.
Le tele si compongono come Logos per l’artista, un discorso che unifica e raccoglie per immagini la molteplicità dell’essere per ritrovarne, più che un equilibrio, una logica d’esistenza.
La pittura di Marchesini è testimone di una nuova visione che descrive ed identifica le molteplicità del sensibile, discostandosi ovviamente dal raggiungere un primato di verità assoluta. Ferma però, e pone in evidenza sulla tela, gli aspetti di un continuo mutamento dell’immagine di pensiero.
Si può dire che Marchesini genera e aziona il concetto che Nietzsche identifica con Volontà di Potenza, la libertà creatrice dell’uomo, l’Atto fonte di significati ed interpretazioni che diventa possibilità per l’artista di diventare ciò che è. La volontà di potenza consiste nel creare, o meglio nel ri-creare l’essere a misura della propria oltre-umanità[3], ed in quanto forza interpretativa si coglie l’essenza e l’origine della molteplicità prospettica. Si stabilisce così, in ogni momento, un rapporto tra la sensibilità e il divenire in cui si colgono i tratti principali e li si fanno emergere attraverso un aspetto riconducibile a una forma. Ecco perché lo stile pittorico di Marchesini è mezzo di autoaffermazione.
Nella sua azione il pittore vicentino codifica segnali, indicazioni e prospettive senza orizzonti della propria percezione nell’epoca contemporanea, colorandone l’esuberanza delle reazioni e coinvolgendoci nel suo essere stesso spettatore-attore.
Il lavoro di Marchesini si può dire che annuncia una poetica delle relazioni tra le creature, l’immaginario e le loro temporalità. La vocazione introspettiva e concettuale del Marchesini è l’elemento, che al pari della tecnica, ne fa una figura emergente di rilevante interesse nel panorama della pittura italiana del nostro tempo.
[1] 1 gennaio 1959. Catalogo della retrospettiva di Clyfford Still alla Allbright-Knox Art Gallery, Buffalo, NY, 1959. Arte Oggi, dall’espressionismo astratto all’iperrealismo, di Edward Lucie-Smith, Arnoldo Mondadori Editore, Verona, 1976
[2] La Lettura, Cento, Le prime 100 copertine del supplemento culturale del Corriere della Sera, a cura di Gianluigi Colin e Antonio Troiano, Skira, Triennale di Milano, 2013
[3] L’immagine del pensiero, Nichilismo e logica della sensazione. Gian Alberto Farinella, con presentazione di Federico Vercellone. Prinp Editore, Firenze, 2012